GARELLA, LA SARACINESCA DELLO SCUDETTO

Claudio Garella, portiere chansonnier di Torino, Lazio, Sampdoria, Verona, Napoli e Udinese, dove ha appeso i guanti al fatidico chiodo, da giocatore era famoso per riuscire a parare in tutti i modi possibili e immaginabili, e sempre (o quasi) in maniera efficace. Oggi abbiamo scoperto, intervistandolo, una persona immarcescibilmente schietta. Ecco le sue confessioni: "Ho iniziato nelle giovanili del Torino, città in cui sono nato il 16 maggio 1955. Con i granata ho esordito a 18 anni sul campo del Vicenza: era il 28 gennaio 1973. La società in seguito mi mandò a Casale, in Interregionale, per darmi l’opportunità di "farmi le ossa". Una volta, visto che in allenamento non sbagliavo mai, in mancanza del rigorista designato realizzai anche un penalty. Nella stagione ’74-’75, l’anno dopo la promozione in serie C, mi sono spostato soltanto di pochi chilometri andando a difendere la porta del Novara, ma in serie B. Fui adocchiato dalla Lazio di Luis Vinicio e dopo un campionato dietro le quinte fui lanciato da titolare nel ’77-’78. Quella è stata l’annata più balorda della mia carriera, anche se non la rinnego assolutamente visto che è con le esperienze negative che il giocatore si fortifica. Se c’era qualche speranza di entrare nel giro della Nazionale, l’esperienza capitolina me la bruciò, e dovetti accontentarmi di ricominciare dalla B andando a difendere la porta della Sampdoria dove sono rimasto per quattro campionati prima che, nel 1981, giungesse la vera grande svolta della mia carriera. Andai a Verona sotto la guida di Osvaldo Bagnoli, uno dei due allenatori, insieme a Nedo Sonetti, che riuscì a valorizzarmi di più. Quando scelsi di andare a Napoli, qualcuno scrisse che fu a causa di una mia lite con "il mago della Bovisa". Sciocchezze: è vero che avemmo una discussione, ma se si litiga fra marito e moglie, perché un alterco non può capitare fra allenatore e giocatore? In quel Verona eravamo abituati a dirci le cose in faccia, come si fa fra uomini veri, poi le cose tornavano come e meglio di prima, altrimenti non saremmo mai riusciti a raggiungere lo storico traguardo dello scudetto. Ho avuto il merito e la fortuna di vincere lo scudetto in due città che non l’avevano mai vinto, anche se sono state due vittorie ottenute in modo diverso. Venni a Napoli proprio perché stuzzicato dall’idea di giocare con il più grande giocatore del mondo, Diego Armando Maradona, e con un fuoriclasse del genere non puoi non pensare di vincere qualcosa di importante. Prima di arrivare a Napoli, era Verona la città nella quale mi ero trovato meglio, ma l’esperienza in riva al Golfo mi ha fatto cambiare. E’ incredibile quanto ti manchi Napoli quando non ci sei più. Quando ci vivi noti tante cose che non vanno bene, quando però te ne vai ti accorgi come quella maniera particolare di vivere alla giornata, di prendere la vita con filosofia ti sia entrato nel cuore per sempre. Dello scudetto quello che mi è rimasto impresso di più è stato lo striscione esposto al cimitero: "Non sanno cosa si sono persi". A noi uomini del nord è sembrato davvero vivere una favola, reale però… Forse la mia gara migliore nei tre anni passati in maglia azzurra è stata quella di Madrid contro il grande Real, anche se purtroppo non fu corredata da un risultato positivo. Ricordo con piacere anche la gara di Roma l’anno dello scudetto, partita che faceva seguito ad una mia prestazione non proprio esaltante contro l’Atalanta. Quella vittoria, unita ad una mia buona prestazione, mi fece riacquistare in pieno la fiducia nei miei mezzi. Dopo quel successo riuscimmo a conquistare anche la vetta della classifica. Insomma, quella gara all’Olimpico fu un vero e proprio toccasana… Il campionato seguente lo perdemmo perché non stavamo più sulle ginocchia ed il Milan correva molto più di noi, non certo perché ci furono intromissioni di natura più o meno oscure dall’esterno. Del resto anche nell’anno dello scudetto soffrimmo moltissimo nelle ultime gare, come spesso è capitato alle squadre allenate da Bianchi. Ora posso dirlo, da gennaio già sapevo che sarei andato via, ma non fu una scelta della società come si volle far credere, ma solo ed esclusivamente una scelta dell’allenatore. Cosa fa oggi Claudio Garella? Sono il direttore sportivo della Canavese in serie D. Io senza calcio non riesco proprio a stare… Non ho assolutamente perso le speranze di confrontarmi in una serie superiore, a breve aspetto la grande occasione…".

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