LE MANI AVANTI

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Fa male perdere. Fa sempre male. Fa ancora più male perdere contro una rivale storica, come la Juventus. Una formazione per la quale, solo a pronunciarne il nome, i giocatori dovrebbero subire la metamorfosi del toro che vede il panno rosso. E invece…

E invece l'unico panno rosso che si è visto ieri è il tappeto che hanno steso gli impauriti giocatori del Napoli, ogni qual volta passava da quelle parti uno degli osannati campioni juventini, da Nedved a Camoranesi, da Del Piero al meno celebrato Balzaretti, hanno tutti avuto vita più che facile nell'affondare le loro lame nella burrosa resistenza partenopea. Attenzione, qui nessuno pretendeva chissà cosa da questa partita, nessuno voleva punti per la classifica, qualsiasi risultato positivo sarebbe stato accolto come una bella impresa da tifosi e addetti ai lavori. La Juve è forte, e l'ha dimostrato, non soltanto ieri, quando ha asfaltato il malcapitato Napoli di Reja con una rabbia che andava al di là di quella meramente agonistica, derivante dalle continue polemiche ogni volta che Deschamps non porta a casa i tre punti.

E' forte, è un alieno su un pianeta di piccole mestieranti ambiziose, che non ha nulla a che vedere con la serie B, e per lei parla il primo posto saldissimo nonostante il pesante gap iniziale. E' forte, e la sconfitta ci può stare benissimo in questa gara, l'unica debàcle veramente giustificata della stagione. Ma non così. Analizziamo in tre battute lo sviluppo del match, dalla fiammata iniziale di Sosa al pallido moto d'orgoglio finale, avviato dalla verve portata dall'innesto di Trotta e completato dai due legni colti da Domizzi e dal Pampa stesso. Per di più, con gli avversari in inferiorità numerica e stanchi dopo una partita giocata a mille. In mezzo, il nulla più assoluto. Gli undici pretendenti alla promozione in maglia azzurra giostravano sbadatamente sul campetto verde senza mai neppure avvicinarsi alla porta di Buffon, quasi avessero paura del Mostro con i guanti, del numero uno dei numeri uno, quasi avessero paura di fare un torto ai Palloni d'Oro e ai Campioni del Mondo. Un suicida sui binari che aspetta solo che passi il treno. E il treno è passato, e dopo un po' è passato anche il secondo. E grazie a Trezeguet e soci per non aver affondato il colpo, perché il passivo poteva essere ben diverso. Il concetto è questo: va bene che in un paio di sporadici episodi il Napoli ha sfiorato il gol e che la sconfitta ci può stare, ma la sensazione è che la squadra sia scesa in campo già convinta di non poter fare nulla per opporsi al gigante bianconero. Gigante che, non dimentichiamolo, è già caduto un paio di volte con avversarie anche meno temibili e in svariate occasioni ha sfiorato il tracollo salvato solo per il rotto della cuffia. Allora forse chi ce l'ha fatta è semplicemente entrato in campo con un'altra testa, non condizionato dalle chiacchiere e dagli alibi preventivi. Perché in questo i vertici napoletani sono maestri. Se la partita con il martoriato Pescara, virtualmente in C1 fin dall'inizio dell'anno, è considerata "difficile", e il Vicenza diventa "la squadra più pericolosa del campionato", per forza di cose la gara contro la Vecchia Signora dovrà apparire come un muro insormontabile. In primis a livello psicologico, visto che i giocatori sono entrati in campo convinti di essere già spacciati, ed è evidente. Travestire tutti da spauracchio prima che si giochi può soltanto essere controproducente, oppure può risultare un comodo paracadute nel caso poi vada tutto veramente male. Esattamente quello che è accaduto in questo insolito posticipo del martedì, con l'ostacolo Juventus divenuto ancora più imbattibile poichè ad affrontarla erano ragazzi demotivati e demoralizzati. Una squadra che punti alla promozione deve affrontare qualsiasi partita con lo stesso atteggiamento, avendo la giusta tensione ma senza sconfinare nella supponenza contro avversarie più "piccole", nè in soggezione al cospetto di quelle più temibili. Altrimenti, se riuscirà a salire subito in A, il Napoli sarà rispedito al mittente con la stessa velocità, affrontando avversarie del calibro di Milan, Inter, e a questo punto, la stessa Juventus. Adesso, speriamo che cambino atteggiamento, coloro che sono destinati a comunicare con la stampa (che purtroppo non sono più i calciatori da ormai troppo tempo…). Ostentare paura per il Pescara può assumere le sembianze di una presa per i fondelli, perché l'eccessiva pusillanimità alla fine sfocia nel ridicolo. Un esempio su tutti: Mondiali 2002, Italia-Ecuador, Trapattoni in conferenza stampa intima ai suoi di far attenzione ad un certo De La Cruz, terzino destro che giocava in Inghilterra, in una squadra di seconda fascia. Divenne un tormentone, e se ne parla ancora oggi…

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