Fuga dopo la vittoria: Conte può cambiare il finale

Di allenatori bravi ne ha avuti tanti. Di trionfi ne sta cominciando a vivere Aurelio De Laurentiis, sebbene con tempismo curioso e quasi sempre dal sapore amaro. Ma c’è un filo conduttore che ha legato i rapporti tra il presidente del Napoli e molti dei suoi tecnici: la rottura, spesso insanabile, che arriva dopo aver raggiunto il successo. È un copione ormai classico, che va da Maurizio Sarri (che non vinse, ma ci andò vicinissimo) a Luciano Spalletti, e che oggi minaccia di ripetersi con Antonio Conte, sebbene le possibilità di una clamorosa permanenza siano in aumento.

Il caso Sarri: bel gioco, record e addio senza gloria

Maurizio Sarri è forse il simbolo più romantico — e doloroso — del paradosso partenopeo. Arrivato in punta di piedi nel 2015, ha trasformato il Napoli in una delle squadre più spettacolari d’Europa. Ha regalato calcio champagne e un record storico di 91 punti nella stagione 2017/18. Non fu scudetto, eppure il rapporto tra Sarri, la squadra e la città era diventato qualcosa di viscerale, quasi mistico. Ma tra lui e De Laurentiis quel legame non si era mai veramente acceso. Tolleranza, forse. Rispetto, a fasi alterne. Ma il presidente mal sopportava le uscite del tecnico, le critiche velate sulla rosa, la comunicazione schietta e poco aziendalista. Sarri, dal canto suo, non si è mai piegato alle regole della diplomazia, rifiutando anche compromessi sul mercato o sulle tournée estive. Il finale fu amaro: Sarri via, con un addio freddo e polemico, e un’eredità raccolta da Ancelotti, che però non seppe accendere lo stesso fuoco.

Spalletti e lo scudetto del distacco

Luciano Spalletti è riuscito dove Sarri aveva fallito: riportare lo scudetto a Napoli dopo 33 anni. Un’impresa epocale, costruita con una squadra rifondata, ma diventata presto invincibile. Eppure, la frattura con De Laurentiis è arrivata anche stavolta, quasi senza clamore ma con una dose di veleno a fuoco lento. Questa volta, non ci furono nemmeno polemiche dirette o grandi litigi: con Spalletti la frattura si consumò in silenzio, con una freddezza burocratica. Una PEC  diventò il simbolo della fine della storia d’amore tra Napoli e l’artefice del terzo scudetto: Spalletti aveva chiesto chiarezza sul progetto, garanzie tecniche e forse un po’ di riconoscimento, ma De Laurentiis rispose con un’offerta di rinnovo unilaterale, pensando che bastasse una clausola nel contratto per continuare un rapporto già consumato. Nessun confronto diretto, nessun colloquio approfondito, solo un documento legale che “bloccava” il tecnico per un’altra stagione. Tutto corretto sul piano formale, ma deludente su quello umano.

Conte: dalla nuotata alle Maldive al gelo di gennaio

Ora arriva il turno di Antonio Conte, il condottiero del quarto scudetto. Un allenatore di temperamento, con carisma e ambizione smisurati. Se c’è un uomo poco incline ai compromessi, quello è proprio lui. E se c’è un presidente che difficilmente si lascia comandare, è sicuramente De Laurentiis. Fedele alla maledizione che sembra colpire ogni allenatore vincente a Napoli, anche Conte si è ritrovato presto al centro di un raffreddamento con Aurelio De Laurentiis. Una frattura che ha iniziato a prendere forma all’inizio del 2025, con la cessione di Khvicha Kvaratskhelia. Da lì in poi, il gelo. Il tecnico aveva chiesto espressamente di non toccare i pilastri della squadra, soprattutto in piena corsa scudetto. La cessione, pur economicamente comprensibile, è stata vissuta come un tradimento progettuale. Conte non ha mai nascosto il suo disappunto, pur restando professionale davanti alle telecamere. Ma internamente, il clima era diventato pesante. Tra Conte e De Laurentiis era cominciata una guerra fredda, silenziosa ma costante. E non solo per la cessione di Kvara. I veri motivi del gelo con De Laurentiis erano più profondi. “Qui a Napoli certe cose non si possono fare”: quella frase, detta dopo Monza, riassume meglio di qualsiasi cosa il Conte-pensiero sull’idea che si era fatto del club. Conte non è mai stato un semplice allenatore. Ovunque sia andato, ha chiesto centralità nel progetto; vuole decidere, dire la sua sulle strategie, sul mercato, persino sulle struttura. Un manager a tutti gli effetti, alla maniera inglese.

Perché è sempre così difficile con De Laurentiis?

Il punto non è se De Laurentiis metta i soldi (“cacc e sord, presidè”) o costruisca squadre forti: lo fa. Il Napoli ha vinto due scudetti in tre anni, ha centrato piazzamenti europei costanti, ha valorizzato e venduto campioni a cifre record. Avrebbe promesso allo stesso Conte un mercato di primissimo piano. Le condizioni per vincere ci sono, eccome. Ma manca la sintonia. Quella che Conte e De Laurentiis stanno cercando di ritrovare dopo lo scudetto ma soprattutto dopo il mercato di gennaio, che Conte si è legato al dito.

Il Napoli è un romanzo che fatica a diventare saga.

Aurelio De Laurentiis ha fatto molto per il Napoli: l’ha salvato, riportato in alto, fatto vincere. Ma ha anche costruito un ambiente dove la continuità è sempre l’anello mancante. Dove ogni allenatore, una volta raggiunto l’apice, capisce che non può andare oltre. E allora va via. Ogni stagione è una bella storia, magari intensa e anche vincente, ma non si trasforma mai in un ciclo duraturo, in una continuità tecnica e umana. Ogni allenatore scrive un capitolo… ma poi, spesso, chiude il libro. Vediamo se Antonio Conte vorrà riaprirlo il libro, in queste lunghissime ore di riflessione, tra un incontro e un altro con De Laurentiis e una telefonata – forse – con Giuntoli e l’amico Chiellini.

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