IL PALIO DEI CRETINI

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Non tutti gli insulti suscitano lo stesso clamore. L’ululato razzista fa sicuramente più notizia di qualsiasi altra becera usanza da stadio: è più di tendenza indignarsi per una tematica sociale così scottante che per altre meno “tartassate” dai media. Uomini che inveiscono contro altri uomini sulla base di convenzioni (e convinzioni) che dovrebbero essere superate da secoli, uno spettacolo aberrante come nessun altro. Si rabbrividisce pensando a dove arrivi l’ignoranza di persone che pure sono dotate di un cervello come tutte le altre, e ciononostante si guardano bene dall’usarlo. Fa male dirlo ma negli stadi questo ritorno allo stato bestiale diventa estremamente più diffuso e violento nella sua applicazione. Ma non è solo con la xenofobia che si esplicita la tendenza alla regressione, ci sono tanti modi per colpire il “nemico” di turno facendogli veramente male. Non saranno alla moda ma sempre di insulti di tratta, soprattutto quando si tirano in ballo argomenti talmente delicati da portare alle lacrime un ammasso di muscoli com’è un calciatore.

Non è un caso se per i cori contro Balotelli si è mobilitata mezza Italia mentre un altro tipo di cori ugualmente balordi passano sotto silenzio quasi fossero normali. Ogni settimana calciatori noti anche per vicende extracalcistiche sono oggetto di scherno, in ogni stadio d’Italia, apostrofati con frasi che vanno a ledere i sentimenti e gli affetti, prima ancora che la dignità umana. Prendete Materazzi: potrà non essere l’emblema della simpatia ma ciò non autorizza gran parte delle tifoserie italiane ad accanirsi contro sua madre, che come tutti i calciofili sanno è morta quando lui era ancora ragazzino. Ieri è stato così anche per Daniele De Rossi, animoso centrocampista della Roma “colpevole” di aver rotto una gamba ad un ex calciatore del Siena (Ardito, ndr) qualche anno fa. Da quel momento per i tifosi senesi De Rossi è diventato il primo nemico, quello che odi talmente tanto che vuoi demolirlo a ogni costo. Per questo motivo al termine di Siena-Roma è partito un coro di quelli che te le fanno girare per davvero, insulti gratuiti alla memoria di chi non c’è più. Daniele De Rossi ha perso il suocero giusto un anno fa e la notizia è stata di dominio pubblico anche per alcune sue presunte frequentazioni non pulitissime, per così dire. Urlare “Dov’è il suocero” è quindi quanto di peggio possa esistere al mondo: i morti non si toccano mai, neanche nella guerra più sanguinosa. Figuriamoci in una partita di pallone.

È legittimo che al ragazzo sia partita la brocca e si sia lanciato in una folle corsa “alla Mazzone” verso gli spalti, frenato solo dal pronto intervento dei compagni di squadra. Poi quelle lacrime amare, a testimonianza che il gioco al massacro dei supporters della Robur aveva ottenuto l’effetto sperato. Saranno stati contenti dopo, nel vedere un uomo di 25 anni crollare sotto gli insulti gratuiti di un branco di imbecilli senza la minima sensibilità, fra i quali sicuramente ci sarà stato qualcuno che ha subìto un lutto recente e nonostante questo continuava a cantare. Allora è vero che nel calcio non esiste razzismo ma solo voglia di colpire, in qualunque modo e con qualsiasi mezzo, anche con il più meschino dei trucchi. E si sa che i colpi bassi sono l’arma di chi non ha l’intelligenza per sfruttarne altre.

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