L’EPOPEA DI CANÀ. “L’ALLENATORE NEL PALLONE”

Il celebre film del 1984, con protagonista un bravissimo Lino Banfi, è un must per gli appassionati della commedia e del connubio tra calcio e cinema. Un piccolo capolavoro, anche per la presenza ironica degli stessi ‘eroi della domenica’. E con battute d’antologia

Quando nel 2002 il Modena tornò in Serie A a trentotto anni di distanza dalla sua ultima apparizione nel massimo campionato, i ‘Canarini’ festeggiarono a Marassi, nel giorno della promozione, esponendo ognuno una t-shirt con la scritta: “La Longobarda ha colpito ancora!“. Inutile dirlo: nel clan emiliano qualcuno, tra giocatori e dirigenti, aveva sicuramente visto L’allenatore nel pallone (1984, regia di Sergio Martino). E quindi conosceva quasi a menadito la gloriosa epopea dello scalcinato team allenato da Oronzo Canà, il ‘Vate della Daunia’ magistralmente interpretato da Lino Banfi in una delle sue prove più spassose, nel pieno dei suoi anni floridi. Un piccolo capolavoro della commedia all’italiana, un gioiellino a lungo relegato nella categoria dei ‘film-spazzatura’ e oggi ritenuto un vero cult per amanti della comicità, specialmente dopo numerosi passaggi televisivi. Molti calciatori hanno confessato di averlo guardato più di una volta, mostrando di conoscere a memoria molte battute storiche della pellicola. Tanto bella quanto verosimile: uomini, squadre, situazioni, figuracce, sono quelle reali del nostro mondo pallonaro. Di ieri e di oggi. Siamo un po’ tutti Canà, come siamo un po’ tutti Borlotti o Aristoteles.

“IO USO UNA ZONA DIVERSA… ” – Il 48enne tecnico pugliese Oronzo Canà ha il triste record di essere stato esonerato in tutte le piazze nelle quali ha allenato, come testimoniato dai gagliardetti appesi in salotto. Eppure c’è chi da qualche parte crede in lui. Ossia, il commendator Borlotti, presidente della Longobarda appena promossa per la prima volta in Serie A, il quale gli affida l’incarico di mister in diretta TV… con conseguente svenimento dell’interessato! Divenuto allenatore, il malcapitato Oronzo si rende subito conto della realtà in cui si è ritrovato: la Longobarda naviga in cattive acque, e per sopravvivere in massima serie è costretta a vendere i suoi gioielli Falchetti e Mengoni. E in sede di calciomercato Borlotti millanta trattative con grandi campioni (ad esempio Maradona), salvo poi mai concluderle. Imbattutosi nel sedicente mediatore Bergonzoni, Canà si convince a volare in Brasile a caccia di un fuoriclasse. Anche qui però viene raggirato sia da Bergonzoni che dal suo vecchio compare Giginho, i quali gli propinano improbabili e tragicomici negoziati per Junior, Eder e Socrates, il fior fiore del calcio carioca di allora. Tuttavia proprio Giginho scova, in un campetto di periferia di Rio, un ragazzone di colore alto, dalle movenze rapide e con un bel tocco di palla: si chiama Aristoteles. Canà dà l’ok e lo porta in Italia. Dove, tra lo stupore generale dei giocatori lombardi, il neoallenatore impartisce il suo strambo codice. Nel rampante calcio italiano anni ’80 impazza la zona, e lui, per non essere da meno, ne usa una tutta personale: la’ B-Zona’, innestata su un altrettanto modulo rivoluzionario, il 5-5-5. “Mister, non giochiamo mica in 15?“, si chiedono i poveri ragazzi, incasinati e imballati dalle fallimentari idee di Canà. Difatti la Longobarda parte malissimo in campionato, e il ‘Vate’ è già sotto processo. Borlotti gli dà fiducia, autorizzandogli un ritiro durante il quale Aristoteles, fin lì poco incisivo e isolato dal resto della squadra, finisce sotto l’ala protettiva del tecnico. E i risultati si vedono: la Longobarda risale in classifica, il brasiliano diventa il trascinatore dell’intero collettivo. Ma tutto ciò provoca le gelosie del capitano Speroni, aitante e belloccio, la cui unica ragione di vita è la liaison amorosa con la moglie del presidente. La ‘Bandiera’, come Speroni viene chiamato, provoca apposta un grave infortunio ad Aristoteles in un a partita con il Milan. Per i lombardi è notte fonda: i rossoneri vincono 7-0. Alla fine Oronzo decide di portare il fuoriclasse a casa sua, nella speranza che le sue condizioni fisiche migliorino. Niente da fare: Aristoteles si affeziona alla figlia di Canà, ma non ne vuol sapere di guarire. E la Longobarda precipita in classifica. Non serve a nulla l’innesto dell’attaccante Crisantemi, viso pallido (in tutti i sensi…) acquistato ai primi di novembre. Né una malefica macumba a Zico, che alla fine ne segna quattro con la sua Udinese. Né tantomeno un maldestro tentativo di corruzione ai danni della Fiorentina, poi vincente per 5-0. La salvezza però è ancora possibile, basterebbe vincere le ultime due partite. Aristoteles rientra alla grande contro la Lazio e segna una doppietta. A Casa Canà è festa, tanto che il mister si affaccia arringando la folla finalmente felice: “Domenica un sol grido ci deve unire: vincere e vinceremo!“. Non è di quest’avviso però Borlotti, che rivela a Oronzo l’amara verità: con le casse in deficit non poteva che tornare subito in B con un allenatore mediocre. Con l’Atalanta è obbligatorio perdere e Aristoteles non deve entrare in campo a togliere le castagne dal fuoco. Canà obbedisce e la Longobarda va sotto, ma alla fine decide di dare retta al cuore, ai sentimenti della figlia che lo invoglia a gettare nella mischia la Perla Nera. Aristoteles sostituisce il titubante Speroni e realizza due reti con cui la Longobarda si salva. Trionfo e tripudio sul campo, anche se Borlotti non dimentica l’aut-aut: Canà non ha obbedito, è licenziato. Ma il pugliese ha pronta come replica la rivelazione-choc: la moglie non è proprio un esempio di fedeltà coniugale, e così… perché non spiattellarglielo, a mo’ di vendetta?

“IO PICCHIO DE SISTI!” – Una trama divertente e piena di colpi di scena, dunque, non c’è che dire: quanto basta perché sia la base fondamentale di un film da vedere e rivedere più volte, magari con un bel cartoccio di pizza a metro e una coca cola insieme agli amici. Il resto lo fa il fascinoso contorno calcistico, che ne viene fuori in una dimensione rilassante e spassosa, tipica di un prodotto comico, peraltro ancora apprezzata dal pubblico a distanza di anni dalla sua uscita nelle sale. Ma è ovvio che il tutto si poggia sulla verve e la bravura del protagonista. Un Banfi davvero nella sua forma migliore, sia per sapersi calare nei panni dell’allenatore sprovveduto e destinato all’insuccesso (simile a tanti presenti nel mondo reale: guardatevi in giro…), sia perché capace di tirare fuori battute tra le più belle del suo repertorio tele-cinematografico. La dimensione ironica e parodistica, nondimeno, si arricchisce soprattutto della presenza di tanti VIP. In primis i giornalisti. Giorgio Martino, allora conduttore di Eurogol (ve lo ricordate?), che all’Hotel Milano Fiori ignora totalmente Canà quando gli passa dinanzi. Il mitico Nando Martellini e Fabrizio Maffei, commentatori delle imprese epiche della Longobarda. Giampiero Galeazzi, non ancora ‘Bisteccone’, ai cui microfoni Oronzo si atteggia in confronti e paragoni con Nils Liedholm prima di buscarle dal Milan. Aldo Biscardi, negli anni ruggenti del suo Processo, quando questo era affollato di cronisti seri e competenti, e Berlusconi non interveniva in diretta per protestare o parlare di Kakà. E naturalmente non mancano loro, i calciatori o ex. Luciano Spinosi, che ingannato dalla calvizie scambia Canà per Ezio Pascutti, “la grande ala sinistra del Bologna degli anni ’60” (parole testuali sue, di giusto omaggio). Sergio Santarini, intervistato proprio da Martino. I romanisti Pruzzo, Ancelotti, Chierico e Graziani, pronti a prendere per i fondelli il povero mister nel giorno in cui, al debutto in campionato, i giallorossi asfaltano la Longobarda 5-1. E infine, top of the pops, Giancarlo De Sisti detto Picchio. Canà si reca da lui, allenatore della Fiorentina, allo scopo di corromperlo e convincerlo a giocare per un pareggio, ma il buon Giancarlo non ci casca. Anzi, decide di devolvere metà incasso in beneficenza all’Unicef, facendo confondere e abboccare all’amo Canà. Che, dopo il 5-0 dei viola, accortosi della beffa si sfoga davanti a Maffei e alle telecamere pronunciando una frase da Oscar: “Io picchio De Sisti…Io picchio De Sisti, e gli spezzo pure la noce del capocollo!“. Basta solo questa battutona come biglietto da visita per una pellicola che val la pena di ammirare almeno un migliaio di volte in allegria e con grande ilarità. Magari anche per smussare i contorni di un calcio troppo teso e serioso come il nostro.

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