PACILEO RACCONTA ASCARELLI
Giuseppe Pacileo è stato per anni l’editorialista più pungente, ma allo stesso tempo fantasioso, del giornalismo sportivo napoletano. Per anni i suoi articoli provocatori ed affascinanti hanno trovato spazio sulle colonne de “Il Mattino”, così come quel lunedì di metà gennaio del 1990, quando Pacileo dopo Udinese-Napoli 2-2 osò mettere 3,5 in pagella a Maradona. Pacileo, insieme a Mimmo Carratelli, rappresenta anche una delle memorie storiche del Napoli, tanto che, a quattro mani con il collega Pietro Gargano, ha scritto anche un bellissimo libro celebrativo per gli 80 anni di vita azzurra. Proprio per questo ci è sembrato giusto riproporre un ritratto, tracciato proprio da Pacileo, del grande Giorgio Ascarelli, l’uomo che il 1° agosto 1926 fondò il Calcio Napoli, dando il là alla gloriosa esistenza della società partenopea.
“Dal lontano passato del calcio napoletano emerge una figura che ogni appassionato della maglia azzurra deve considerare indimenticabile: Giorgio Ascarelli. Egli non può essere altrimenti definito che un mito. Infatti, sa di mito, quel nome, molto più che non altri ancora più lontani nel tempo – i Potts, i Salsi, eccetera – per la dimensione e la compiutezza realizzata a pro del calcio napoletano in periodi di stupefacente brevità; per le intuizioni sue, come dire? leonardesche; per quell’essere sorto e tramontato, come dirigente ma pure in panni d’industriale, nell’arco di un quinquennio (tramontato, tra l’altro, prematuramente eppure già al vertice dell’intensa ed eccezionale attività – e i primi paragoni che mi saltano in mente arrivano da tutt’altro campo. Dico Mozart e dico Schubert, come prima accennavo a Leonardo, senza il pudore del “si licet parvis componere magna” perché ciascuno nel suo campo – angusto oppur sconfinato che sia – può essere piccino oppure immenso). Mitico, infine, l’Ascarelli, per quella sorta d’aureola del martirio che gli regalarono, sebbene postuma, l’anormalità idiota delle leggi razziali e la normalità ignobile dell’umana ingratitudine.
Quale il debito del calcio napoletano verso Ascarelli? Più presto detto che fatto:
a) il rilancio regionale durante la gestione dell’Internaples ultima versione;
b) la fondazione della prima A.C. Napoli;
c) il lancio sulla ribalta nazionale della prima squadra recante il nome della sua città, con un quinto posto, dopo anni di mortificazioni (quinto posto che grazie anche alla sua opera diventò terzo e poi quarto dopo la sua morte ) ;
d) i primi due veri e moderni allenatori, Carcano & Garbutt;
e) il ricorso, indispensabile, a calciatori professionisti di fatto da affiancare alle pochissime autentiche forze indigene (o quasi);
f) la concezione stessa del club calcistico in forma e organizzazione d’azienda, con tanto di bilancio e con tanto di stadio proprio (il primo e l’ultimo che il Napoli abbia posseduto).
Forse mi sono scordato di qualcosa, però ho la vaga sensazione che di più non si potesse pretendere, soprattutto in considerazione delle circostanze ambientali ed epocali. Fu come passare per magico tocco di bacchetta dall’età del bronzo al Rinascimento. Con l’Achille Lauro prima edizione si sarebbe ripiombati nel Medioevo, con quello della seconda si sarebbe saltati al più dispotico dei governi borbonici. Roberto Fiore avrebbe inaugurato l’era moderna. Corrado Ferlaino, dopo un folle decennio di tipo edoardiano tra miserie e fulgori, è approdato al computer. Il personaggio magari antipatico a molti è comunque il primo presidente col quale il Napoli è arrivato allo scudetto e alla Coppa Uefa, e i fatti sono fatti. Quattro, insomma, le presidenze significative, quattro nomi da incidere sulla pietra. Giorgio Ascarelli, però, fu la stele di Rosetta (che non è una mia cugina, come qualche lettore potrebbe supporre, bensì la cittaduzza egiziana – in arabo Rascidt – ove le truppe napoleoniche rinvennero nel 1799 una lastra di pietra recante la “chiave” per interpretare i geroglifici).Certo, il Nord vantava pure nel calcio i vantaggi d’una partenza avvenuta molto prima e molto meglio; tuttavia, fu altamente significativo che, nel ristretto gruppo più o meno concorrente della Juve dai cinque scudetti, si trovasse anche il Napoli, quello immatricolato e targato da Ascarelli pur se guidarlo toccò a Willy Garbutt e all’ing. Vincenzo Savarese; costui non indegno successore, laddove nella pletora de’ predecessori – dilettanti inetti e talvolta gonfi di boria – mi sento di salvare il solo Emilio Reale.
Di cospicua famiglia ebrea, Giorgio Ascarelli nacque il 18 maggio 1894 al Pendino, quartiere popolare e centralissimo di Napoli; era dunque “verace”. Rotondetto e di belle fattezze, la fronte resa ancora più ampia da precoce calvizie, era ricco di quattrini che amministrò con la parsimonia dell’avaro intelligente – di quelli che, se lo ritengono funzionale o gratificante, sono pronti a spendere anche grosse somme – ed era ricco di quella sensibile, “artistica” intelligenza che non di rado esalta la sua razza fino a regalare all’Umanità un Einstein, un Ojstrakh, un Kafka; piaccia oppur no all’arianesimo degli Alfred Rosenberg e conseguenti Adolfi carnefici. Dunque, mecenate anche dell’arti e studioso di pittura; nel suo stile schivo, a suo modo anche uomo di mondo. Fu tra i fondatori del Circolo Canottieri Italia. Industriale del tessuto, con un fatturato considerevole, la sua Manifattura di Villadosia allungava propaggini fino in Lombardia, a Busto Arsizio.
Volle che lo stadio da lui costruito al Rione Luzzatti prendesse il nome di “Vesuvio”. Lo inaugurarono il 23 di febbraio 1930 ed egli non s’intruppò tra le “autorità”; preferì mescolarsi alla folla e invano lo cercarono. Tra la folla assistè al pareggio tra Napoli e Juve, soffrì ai gol di Munerati e d’Orsi, esultò alla doppietta riparatrice di Buscaglia. Diciassette giorni e sarebbe morto, all’alba, di peritonite perforante nella sua residenza in Villa Bice, al civico 169 di Via Posillipo. Evento così repentino, inatteso, che Napoli mistica e insieme superstiziosa lo considerò come “assunto in cielo”.Il 13 di marzo, giorno dei funerali successivo alla scomparsa, la folla sul percorso (Via Caracciolo, Piazza Vittoria, San Ferdinando, Corso Umberto fino al cimitero ebraico) era talmente fitta che “in più punti venne sospeso il traffico” de’ vicoli, narrano le cronache dell’epoca. E della domenica successiva registrano che a Milano, dove gli azzurri pareggiarono due a due con i rossoneri rimontando con Vojak un doppio svantaggio, al 5’ l’arbitro Ciamberlini fermò il giuoco. “Giocatori e pubblico scattano in piedi e rimangono per un minuto in silenzio rendendo omaggio alla memoria di Giorgio Ascarelli”. Si consideri che la squadra, già in ritiro al nord in quel di Arona, si era sobbarcata al faticoso viaggio di andata e ritorno in ferrovia (seconda classe!) per partecipare ai funerali e quindi ritornare a Milano, arrivo alle 11 della domenica mattina.
Chissà perché dopo e non prima della partita, “ ai giuocatori è stato comunicato un telegramma di ringraziamento della signora Ascarelli, commossa dell’omaggio reso dai giuocatori al compianto consorte ed un altro della società esortante i giuocatori ad onorare degnamente sul campo la memoria dell’indimenticabile ed amato presidente”.La prosa dell’epoca di già radeva al suolo la regola dell’accento tonico: i giuocatori però non avevano avuto bisogno di esortazioni per onorare sul campo – col giuoco e non col gioco – l’amato presidente. Quanto all’indimenticabilità, sarebbe interessante che qualche Sindaco e qualche dirigente dell’epoca spiegasse come mai nel dopoguerra lo stadio del Vomero venne intitolato a una disonorevole “liberazione” e perché tanti anni dopo si preferì per il nuovo stadio di Fuorigrotta il nome di San Paolo. Non risulta che l’Apostolo abbia mai accennato al giuoco del calcio nelle sue “lettere” ai Corinzi o ad altri… Ancora ancora era stato comprensibile, a metà degli Anni Trenta e con l’aria che tirava, che il “Vesuvio” ribattezzato “Ascarelli” dopo la morte del costruttore, diventasse “Partenopeo”. Ma una volta “liberati”…A proposito: chissà che con la sua “vista lunga” don Giorgio non avesse intuito l’imminenza delle leggi razziali. Se così fu, egli riuscì ad anticipare pure quelle, seppure al prezzo più alto…”.