IL CIUCCIO, NASCITA DI UN SIMBOLO
Per tutti da decenni è il simbolo indiscusso a cui rifarsi quando si fa cenno alla storia del Napoli, eppure non molti conoscono alla perfezione come sia nata l’idea di accostare il Ciuccio alla squadra azzurra, fino a diventarne l’emblema. Niente, se non uno scritto del grande Felice Scandone, indimenticato giornalista napoletano fondatore del “Mezzogiorno Sportivo”, caduto in guerra nel 1940 su un aereo precipitato nel cielo di Torbuk, può farci meglio luce sull’argomento. Per questo riportiamo questo storico articolo, in cui si racconta la progenìa del simpatico e tanto amato ruminante, scritto proprio da Scandone per “Calcio illustrato” nel 1933, stagione in cui il Napoli di Mister Garbutt, del mitico portiere Cavanna, della bandiera Pippone Innocenti, di Colombari “O’ banco e’ Napule”, di Carletto Buscaglia e dell’esplosivo tridente d’attacco Vojak – Sallustro – Ferraris, faceva sognare gli appassionati tifosi azzurri, contendendo lo scudetto a Juventus ed Inter e riscattando finalmente la nomèa di asini moribondi!
“Il ciuccio è l’emblema del Napoli e poche volte nella storia della zoologia il testardo e umile animale ha fatto tanto parlare di sé, come adesso. Gli è che da alcuni anni, ad opera di un popolare giornale umoristico locale il “ciuccio” imperversa. Una volta era moribondo e Garbutt fungeva da medico salvatore; un’altra volta si rialzava su due zampe, come un nobile corsiero arabo o un rampante leone e poneva in fuga animali di sangue infinitamente più azzurro. Erano, insomma, le alterne vicende del Napoli che, dai primi anni disastrosi, era assurto gradatamente a stella di prima grandezza del firmamento calcistico nazionale. Perché il bizzarro umore partenopeo abbia scelto proprio il “ciuccio” per distinguere una grande società di calcio è una storia un po’ lunga. Cerchiamo di abbreviarla il più possibile. Nella notte dei tempi, nella vecchissima Napoli non so più di quale dominazione, un contadino, Fichella, curava un vecchio asino, tanto carico di acciacchi da essere ricoperto da tante piaghe. Inoltre, anche la coda del disgraziato ronzinante era in pessime condizioni, cioè, a dirla alla napoletana, era “fraceta”. Il Napoli al primo anno di Divisione Nazionale era il povero vaso di terracotta tra vasi di ferro. In un intero campionato non racimolò che un misero punto perché non riusciva nemmeno a trasformare in goal i calci di rigore… Era, insomma, come il famoso asino del povero Fichella, del quale si racconta che vegliasse la notte (Fichella, non l’asino, intendiamoci bene!) per cogliere i fichi del suo vasto orto per caricare il carretto che doveva trasportare le ceste al mercato, Ma l’asino percorreva appena poche centinaia di metri, poi si abbatteva al suolo e non c’era verso di farlo rialzare. Il Napoli dei primi anni era proprio come quest’asino. Anche quando riusciva qualche volta a prendere il trotto (vale a dire quando otteneva qualche sporadica vittoria) era per…pochissimo tempo. La classica corsa dell’asino, insomma. Come e perché il “ciuccio” si sia trasformato in un bizzarro cavallino che quest’anno corre e corre (e come!) è ormai storia che tutti conoscono. Ma in quel di Napoli non vogliono sentirne di rinunziare al “ciuccio”. Forse perché si è, in fondo, sempre un po’ scettici, conoscendo la…natura del poco nobile animale (chi nasce asino non può morire cavallo…) forse perché si sono affezionati all’orecchiuto, forse anche perchè il “ciuccio” è più intonato alla rumorosa, schietta e caratteristica allegria napoletana”.