“Il dito contro”: Conte e Sarri, anche i ricchi piangono

 

Nona giornata di serie A: un punto a testa per le prime due squadre del campionato, Inter e Juventus scivolano in maniera clamorosa rispettivamente contro Parma e Lecce regalando alle inseguitrici un’occasione unica per rosicchiare punti in una classifica sempre più delineata che vede la Torino bianconera e la Milano nerazzurra contendersi il trono dell’Italia calcistica.

Due i pareggi arrivati nel corso dell’anticipo del sabato che suonano di beffa per le squadre al vertice soprattutto se – sempre con il dovuto rispetto – si prendono in considerazione gli avversari: i salentini guadagnano il primo punto al Via del Mare contro la capolista mentre il Parma riesce addirittura a mettere sotto l’Inter finché Lukaku non sigla il secondo goal che scaccia gli spettri di quella che – nonostante le poche giornate di campionato – avrebbe avuto l’amarissimo sapore di una disfatta.

La classifica s’è mossa appena di qualche centimetro, anche perché quella che idealmente sarebbe la terza contendente al trono dell’Italia del pallone è rimasta impantanata nelle sabbie mobili di Ferrara: un solo punto anche per il Napoli contro la Spal, gli azzurri risultano evanescenti e sempre meno protagonisti in serie A, ci piace pensare perché concentrati su obiettivi più grandi e stellari ovvero quelli per diventare divi sui palcoscenici europei.

Tuttavia la frenata del Napoli non permette di certo alla Juventus e all’Inter di sorridere, se i vecchi nobili sonnecchiano c’è una squadra che corre e fa miracoli – del resto il suo nome trae origine da quello di una dea velocissima – si tratta dell’Atalanta di Gasperini che insacca sette goal sulle ali del vento e dell’entusiasmo a fronte di chi arranca, dorme e si difende ancora troppo.

In serie A è tanto tempo che non si assiste ad una “favola”, ad una non-predestinata che strappa lo scettro dalle mani di una grande.

A tutti quelli che amano questo sport, probabilmente piacerebbe riempirsi gli occhi con un miracolo di provincia e che questo fosse l’anno della Dea. Però il calcio è una scienza esatta – molto più di ciò che si crede – e non c’è molto spazio per le favole ed i sogni, tuttavia c’è una cosa che anche i nobili del pallone dovrebbero e potrebbero imparare da chi macina gioco su campi di poco prestigio: l’umiltà e la capacità di riconoscere i propri errori.

Il dito contro di questa settimana è puntato quindi all’indirizzo di Antonio Conte e Maurizio Sarri, i due allenatori – come se avessero concordato nel dopo partita cosa dire e cosa no – hanno trovato quasi gli stessi alibi pur di non chinare la testa e sussurrare che sì, anche gli dei possono cadere.

Questo campionato di calcio potrebbe dare l’esempio ad un paese intero: dal basso si può imparare, le chiacchiere stanno a zero e le scuse pure, e senza umiltà magari vinci una partita di pallone ma della vita, quella vera, hai capito ben poco. Gli scivoloni che hanno visto coinvolte le regine contro gruppi di scudieri dimostrano quanto sia vera la legge non scritta che senz’animo i titoli valgono poco; e se non ci fossero variabili come la fortuna e gli ingaggi – insomma se anche questo microcosmo non girasse attorno ai soldi – potremmo contare negli almanacchi molti più scudetti vinti da allenatori dediti a questo lavoro per amore della tattica sopra ogni cosa.

Invece assistiamo alle lamentele di chi ha due – ma anche tre – squadre a disposizione e di chi si è trovato a guidare un gruppo riformato ma per il quale è stata spesa una miniera d’oro. Questo sport si è ridotto ad una brutta telenovela: sogniamo il riscatto sociale con la vittoria di una squadra del popolo, odiamo i vincenti che sono gli stessi che quando perdono strappano le vesti e trovano sempre nuovi alibi.

Del resto c’era una soap opera degli anni ottanta che si chiamava proprio “Anche i ricchi piangono” e i leader delle due regine del campionato sarebbero stati decisamente perfetti tra i protagonisti.

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