SAN PAOLO: SEMPRE I SOLITI RI… TORNELLI

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L’Italia, il paese delle svolte disattese, ha trovato nel mondo pallonaro la sua vetrina d’eccellenza. Dopo i casi tanto eclatanti dello “scandalo passaporti” e di “Calciopoli”, l’ultimo tentativo di rivoluzione (divenuta obbligatoria dopo i fatti di Catania) riguarda la violenza negli stadi. L’agghiacciante incidente avvenuto durante la partita Catania-Palermo, che ha portato alla morte del commissario Raciti, ha dato un forte segnale agli organi competenti, che hanno lavorato in tutta fretta per cercare soluzioni immediate e drastiche del problema. In realtà la sicurezza negli stadi è una questione che già prima di questa vicenda aveva suscitato l’interesse pubblico. Il ministro Pisanu aveva messo in atto un decreto legge i cui punti chiave prevedevano l’adeguamento degli impianti sportivi attraverso vari interventi, tra cui l’installazione di tornelli e recinzioni all’esterno dello stadio e aumento dei sistemi di videosorveglianza all’interno e all’esterno degli impianti sportivi. Gli interventi, in un primo momento prorogati fino a Luglio 2007, sono divenuti d’urgenza dopo gli incidenti del Cibali. Ogni proroga è stata ritirata e molti stadi sono stati chiusi perché non adeguati: tra questi lo stadio San Paolo.L’impianto di Fuorigrotta s’è ritrovato costretto all’improvviso a dover chiudere i battenti, e le premesse erano terribili; dato lo stato fatiscente del San Paolo si parlava di mesi di lavori prima di rivedere spettatori sugli spalti, senza dimenticare che l’ordine dei tornelli sarebbe stato evaso solo a fine campionato. Quello riuscito a De Laurentiis può essere quindi definito il secondo miracolo sportivo dell'imprenditore partenopeo: dopo aver ridato credibilità e dignità a questa società, è arrivato con il suo impegno in prima persona a ridare la possibilità di rientrare allo stadio agli abbonati dopo soli due turni interni a porte chiuse e riottenere l’agibilità totale dopo solo 4 turni interni dal blocco. Attraverso questi lavori e con l’attuazione di tutte le normative del decreto antiviolenza si è provato a garantire un filtraggio adeguato agli ingressi e maggiore controllo e sicurezza all’interno dell’impianto. Ma sarà bastato davvero applicare una serie di normative, seppur importanti, a risolvere problemi che forse non sono semplicemente di ordine infrastrutturale?

 

Per rispondere a questo quesito vi propongo una breve cronaca del prepartita fornita da un tifoso, Antonio, che si è offerto volontariamente per testare l’efficacia di queste misure applicate allo stadio San Paolo nel match di sabato con il Bari.

 

Venerdì ore 19, Napoli: da poche ore si è appresa la notizia dell’agibilità dello stadio San Paolo. C’è elettricità in città, i tifosi interessati al match del Napoli contro il Bari si recano nei punti Lottomatica abilitati per acquisire i tagliandi. Tra questi c’è “Antonio” nella coda all’interno del punto vendita è preceduto da un uomo che al suo turno chiede al negoziante di vendergli ben 50 (cinquanta!) biglietti mostrandogli altrettanti documenti (il regolamento prevede la possibilità di vendere un numero limitato di biglietti ad ogni persona). Il negoziante procede all’erogazione dei biglietti. Dopo circa 30 minuti di attesa Antonio riesce a comprare il suo tagliando di curva B.

 

Sabato ore 14.30, Fuorigrotta: “Antonio” arriva all’esterno dello stadio San Paolo, dopo aver rifiutato l’acquisto di biglietti da bagarini (mai biglietti nominativi non dovevano estirpare questa piaga?) e si appresta a mettersi in fila. Centinaia di persone sono accodate in maniera disordinata a causa dell’assenza di sistemi di incanalamento. La coda, a causa dei “controlli serrati” all’ingresso, procede lentamente. Si ipotizza almeno un’ora d’attesa. All’improvviso “Antonio” nota che molti tifosi, appena arrivati, senza preoccuparsi minimamente della fila la superano lateralmente e riescono ad entrare in pochi minuti, in barba ai controlli e a tutte le persone che indispettite si lamentano di un simile atteggiamento.

 

Ore 15.30: Arriva al varco predisposto all’altezza della recinzione più esterna, qui avviene il controllo del nominativo dei biglietti, ma Antonio mostra solo il tagliando senza documento; lo steward controlla il settore sul ticket e lo lascia passare. Arrivato ai tornelli inserisce il biglietto all’interno del lettore ed entra senza problemi all’interno dello stadio.

 

Ore 15.40: A. ha preso posto all’altezza del 2° anello della curva B. Si accorge che alcuni tifosi, dopo aver scavalcato la recinzione che isola il 3°anello, dichiarato inagibile da mesi, stracciano letteralmente striscioni che pubblicizzavano il sito ufficiale della società (probabilmente per una forma di protesta).

 

Ore 15.55: Le squadre entrano in campo incitate dai tifosi, non si sente alcun petardo esplodere e solo due fumogeni vengono accesi.

 

Un breve ed emblematico reportage che impone delle riflessioni; L’attuazione di tutte le normative non ha evidentemente risolto tutti i problemi. I biglietti nominativi hanno solo ridotto ma non eliminato il problema bagarinaggio, e tutto è favorito dall’incomprensibile leggerezza con cui gli steward effettuano i controlli; La sicurezza interna è poi davvero garantita? Tifosi che scavalcano da un settore ad un altro senza grossi problemi e che compiono atti vandalici all’interno dell’impianto non fanno però ben sperare.C’è però da osservare come un problema tanto forte come quello delle continue esplosioni di petardi pare completamente risolto.Certo L’impegno profuso dagli organi competenti è sicuramente una prova rilevante della volontà generale di risolvere il problema; ma c’è bisogno che le stesse autorità cerchino di calarsi nelle realtà tanto diverse che ogni città propone. La società dal canto suo devo fare lo stesso, imponendo controlli maggiori che garantiscano l’efficienza del sistema. Questa è la lampante dimostrazione che non bastano esclusivamente stadi ultramoderni e leggi severe ma che bisogna lavorare sulla mentalità che tanti anni di cattive gestioni hanno profuso, e che quindi per pensare di utilizzare come esempio guida il modello inglese dobbiamo prima liberarci di quello “portoghese”.

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