Come smontare un giocattolo perfetto
Siamo appena alla terza giornata di campionato e ci siamo tutti accorti che la differenza tra il Napoli di Spalletti e quello di Garcia è più o meno quella passa tra il giorno e la notte. Una notte fonda, tenebrosa quella che è calata ieri sera a Fuorigrotta nel secondo tempo, quando la Lazio ha letteralmente maramaldeggiato su un Napoli disastroso e disastrato da una gestione tecnico-tattica rivedibile assai.
Dopo il 2-1 di Kamada, Garcia ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare: dalla disposizione in campo di reparti troppo distanti tra loro ai cambi che non hanno sortito alcun effetto positivo. Nemmeno con le sostituzioni è riuscito infatti a modificare l’andamento di una gara che aveva portato la Lazio a fare persino il terzo e quarto gol e a sfiorare il quinto. Una debacle cancellata solo da Var e fortuna.
Ad un certo punto, Sarri aveva completamente demolito Garcia, che nemmeno nel post-gara ha saputo dare una spiegazione all’incredibile black out. Secondo il tecnico francese una possibile motivazione potrebbe essere di carattere psicologico, ma ci consenta di non essere d’accordo: questo Napoli è solidissimo mentalmente, lo dimostrano le tante reazioni agli svantaggi dello scorso anno anche su campi storicamente ostili.
Di solito, quando un allenatore commenta così una sconfitta potrebbe essere in un clamoroso stato confusionale e questo di certo non fa ben sperare per il futuro. Se da una parte la stagione è appena cominciata e ci sarebbe tutto il tempo per rimediare, dall’altra le considerazioni di Garcia non lasciano affatto sereni circa la speranza che possa correggere dei gravissimi difetti che nell’ultima stagione non erano mai emersi, nemmeno nei (rarissimi) momenti di difficoltà.
Dopo una prima mezz’ora di gioco aggressivo ma comunque tutto sommato sterile e poco pericoloso (l’unico tiro in parta quello di Kvaratskhelia da 30 metri), nella ripresa un Napoli così lungo e sfilacciato non lo avevamo mai visto nemmeno ai tempi dell’ammutinamento con Ancelotti o del play-off Champions perso malamente a Bilbao con Benitez. Eppure questa è un’altra storia: Garcia, rispetto ai suoi predecessori che hanno vissuto le esperienze più negative della storia recente azzurra, ha un gruppo molto più forte e soprattutto consapevole, che ha vinto non casualmente ma grazie ad un gioco definito alla perfezione, lo stesso che oggi Garcia ha intenzione di accantonare per lasciare spazio alle sue idee.
Ma a quali condizioni? Quelle di passare meno dai piedi di Lobotka e più dai lanci lunghi dei difensori? Quelle di esporre la linea difensiva a continui uno contro uno con le punte senza avere un centrale come Kim pronto a metterci la cosiddetta pezza? Quelle di un attacco lasciato alle iniziative individuali piuttosto che accompagnarlo con una manovra corale?
A questi e a tanti altri punti di domanda solo il tempo darà delle risposte. Intanto, ciò che più fa discutere del nuovo ciclo sono i numerosi elementi di discontinuità col passato che Garcia ha immediatamente deciso di imporre, preoccupandosi di snaturare una squadra che giocava a memoria e che ora sembra aver smarrito tutte le sue certezze