LA REJAMORFOSI

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C'era una volta un generale romano. Il suo nome era Quinto Fabio Massimo Rullo, e vinse contro i Sanniti senza l'autorità di un importante dittatore che ne chiese la testa per avergli disobbedito. Fabio si gettò ai piedi del dittatore e ne chiese il perdono, che gli fu concesso. Suo discendente fu Quinto Fabio Massimo Verrucoso, soprannominato "il temporeggiatore" poiché vinse Annibale puntando al suo logoramento mediante una tattica di guerriglia. Questa linea politica lo rese impopolare, il Senato lo rimosse e optò per una tattica più aggressiva che portò i romani alla disfatta.Due profili di duemila e più anni fa, due storie che potrebbero somigliare alla metamorfosi di un onesto allenatore friulano che, dopo aver vinto temporeggiando, chissà perché ha provato a vincere osando. Non ci è riuscito, ma almeno ha conservato il suo mandato. Ma perché ha cambiato tattica? Edy Reja ha 61 anni, non è un'età alla quale è facile convertirsi passando da una concezione del calcio pragmatica ed equilibrata ad una sofisticata e spregiudicata. Ed infatti Reja non è cambiato affatto, perché giocare un quarto d'ora con quattro punte non significa ricercare il calcio-spettacolo, che si può raggiungere anche con un solo attaccante. Perché, allora, contro quei modesti ma tonici toscani, il furlan ha rotto gli equilibri tattici di un Napoli spesso inguardabile ma cinico e granitico?

La storia può aiutare a capire. E' stato lo stesso allenatore, più volte, a chiarire che preferisce la prosa alla poesia; che gli basta vincere 1-0 in casa, magari pareggiando fuori, perché sarebbe una media perfetta; che in giro nessuno gioca un gran calcio, e che pertanto basta muovere la classifica per essere contenti. Frasi che non sono piaciute e non piacciono a gran parte della critica e a parte dei tifosi, che vorrebbero vedere una squadra in grado di sganciare il freno a mano. Impossibile essere impermeabili a critiche e pressioni. Forse per questo Reja ha ceduto, cercando di dimostrare che l'equazione “tante punte uguale tanti punti” è sbagliata se la squadra non è in grado di supportarle. Proprio quello che è successo contro l'Arezzo: con l'ingresso di Sosa e l'uscita di Cannavaro, la difesa torna "a quattro", stessi uomini per l'attacco ma soltanto due (Montervino e Bogliacino) per un centrocampo atipico, certamente incapace di reggere all'impatto delle ripartenze di qualsiasi avversario, primo o ultimo che sia.

 

Anche in serie C il tecnico aveva costruito una squadra accorta, che subiva pochi gol segnando con il contagocce. Così, proprio a febbraio provò a diventare più spregiudicato, salvo pentirsi dopo tre sconfitte esterne consecutive. "Ho sbagliato quando confidando sulla solidità della difesa che non prendeva gol e sulla difficoltà delle punte che i gol, invece, stentavano a segnarne, ho deciso di impostare una squadra più d’attacco. Ho creduto di poter osare" confidò il tecnico dopo le tre sberle di Castellammare, il punto più basso della sua gestione.

Un anno dopo, riecco gli stessi errori pensando di poter strafare: rinunciare a quella atipica difesa "a cinque" che, per come è stato costruito il Napoli (sul campo, non sul mercato) rappresenta l'unico modo per vincere. Ne sembrava convinto Reja, uomo pragmatico che lascia la poesia agli altri. E' per questo che, stranamente, ha rinunciato alla sua coerenza. Come un anno fa. In altri tempi, non avrebbe snaturato la squadra togliendo un difensore, perché il risultato era ancora in bilico e non sempre c’è “San Gennaro” che rimedia alle pecche. Avrà sottovalutato l’avversario? Ma no, soltanto troppa fiducia nei mezzi della squadra e nella dea bendata, ed ecco che si è abbandonato a voli pindarici con ali di cera.

Se qualcuno voleva lo spettacolo, non doveva affidarsi ad un temporeggiatore, che pure sta ottenendo risultati. Forse Reja avrà pensato che il "cunctator" pagò con il posto i suoi atteggiamenti, ma lo stesso successe al suo bisnonno decisionista. Tuttavia, ne uscirono entrambi vincitori, e dopo aver difeso le proprie idee. Faccia così anche Reja: comunque vada chiuderà senza rimpianti e se vincerà non dovrà genuflettersi per chiedere perdono, come dovette fare il bisnonno del “temporeggiatore” per essere perdonato dal dittatore adirato…  

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C'era una volta un generale romano. Il suo nome era Quinto Fabio Massimo Rullo, e vinse contro i Sanniti senza l'autorità di un importante dittatore che ne chiese la testa per avergli disobbedito. Fabio si gettò ai piedi del dittatore e ne chiese il perdono, che gli fu concesso. Suo discendente fu Quinto Fabio Massimo Verrucoso, soprannominato "il temporeggiatore" poiché vinse Annibale puntando al suo logoramento mediante una tattica di guerriglia. Questa linea politica lo rese impopolare, il Senato lo rimosse e optò per una tattica più aggressiva che portò i romani alla disfatta.Due profili di duemila e più anni fa, due storie che potrebbero somigliare alla metamorfosi di un onesto allenatore friulano che, dopo aver vinto temporeggiando, chissà perché ha provato a vincere osando. Non ci è riuscito, ma almeno ha conservato il suo mandato. Ma perché ha cambiato tattica? Edy Reja ha 61 anni, non è un'età alla quale è facile convertirsi passando da una concezione del calcio pragmatica ed equilibrata ad una sofisticata e spregiudicata. Ed infatti Reja non è cambiato affatto, perché giocare un quarto d'ora con quattro punte non significa ricercare il calcio-spettacolo, che si può raggiungere anche con un solo attaccante. Perché, allora, contro quei modesti ma tonici toscani, il furlan ha rotto gli equilibri tattici di un Napoli spesso inguardabile ma cinico e granitico?

La storia può aiutare a capire. E' stato lo stesso allenatore, più volte, a chiarire che preferisce la prosa alla poesia; che gli basta vincere 1-0 in casa, magari pareggiando fuori, perché sarebbe una media perfetta; che in giro nessuno gioca un gran calcio, e che pertanto basta muovere la classifica per essere contenti. Frasi che non sono piaciute e non piacciono a gran parte della critica e a parte dei tifosi, che vorrebbero vedere una squadra in grado di sganciare il freno a mano. Impossibile essere impermeabili a critiche e pressioni. Forse per questo Reja ha ceduto, cercando di dimostrare che l'equazione “tante punte uguale tanti punti” è sbagliata se la squadra non è in grado di supportarle. Proprio quello che è successo contro l'Arezzo: con l'ingresso di Sosa e l'uscita di Cannavaro, la difesa torna "a quattro", stessi uomini per l'attacco ma soltanto due (Montervino e Bogliacino) per un centrocampo atipico, certamente incapace di reggere all'impatto delle ripartenze di qualsiasi avversario, primo o ultimo che sia. Anche in serie C il tecnico aveva costruito una squadra accorta, che subiva pochi gol segnando con il contagocce. Così, proprio a febbraio provò a diventare più spregiudicato, salvo pentirsi dopo tre sconfitte esterne consecutive. "Ho sbagliato quando confidando sulla solidità della difesa che non prendeva gol e sulla difficoltà delle punte che i gol, invece, stentavano a segnarne, ho deciso di impostare una squadra più d’attacco. Ho creduto di poter osare" confidò il tecnico dopo le tre sberle di Castellammare, il punto più basso della sua gestione. Un anno dopo, riecco gli stessi errori pensando di poter strafare: rinunciare a quella atipica difesa "a cinque" che, per come è stato costruito il Napoli (sul campo, non sul mercato) rappresenta l'unico modo per vincere. Ne sembrava convinto Reja, uomo pragmatico che lascia la poesia agli altri. E' per questo che, stranamente, ha rinunciato alla sua coerenza. Come un anno fa. In altri tempi, non avrebbe snaturato la squadra togliendo un difensore, perché il risultato era ancora in bilico e non sempre c’è “San Gennaro” che rimedia alle pecche. Avrà sottovalutato l’avversario? Ma no, soltanto troppa fiducia nei mezzi della squadra e nella dea bendata, ed ecco che si è abbandonato a voli pindarici con ali di cera.Se qualcuno voleva lo spettacolo, non doveva affidarsi ad un temporeggiatore, che pure sta ottenendo risultati. Forse Reja avrà pensato che il "cunctator" pagò con il posto i suoi atteggiamenti, ma lo stesso successe al suo bisnonno decisionista. Tuttavia, ne uscirono entrambi vincitori, e dopo aver difeso le proprie idee. Faccia così anche Reja: comunque vada chiuderà senza rimpianti e se vincerà non dovrà genuflettersi per chiedere perdono, come dovette fare il bisnonno del “temporeggiatore” per essere perdonato dal dittatore adirato…  

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