Mantenere il successo è più difficile che ottenerlo

Partiamo subito da un presupposto, così facciamo rilassare tutti quei paladini che nella vita hanno scelto di fare il mestiere di difensori di Aurelio De Laurentiis: in tutti questi anni il presidente del Napoli ha fatto cose straordinarie, l’ultima, lo scudetto, un clamoroso miracolo, che probabilmente gli consegna la palma di miglior patron della storia azzurra. Nessuno può permettersi di non riconoscergli taluni risultati merito del suo operato.
Detto questo, per onestà intellettuale e dovere di cronaca, non possiamo esimerci dal raccontare che da quando ha vinto il campionato De Laurentiis le ha praticamente sbagliate tutte. Dicasi tutte!
Dalla fine del rapporto con Spalletti, al lungo casting del sostituto (con annessi e connessi numerosi ‘no’ di allenatori affermati e non), alle velleità di vittoria della Champions e – da ultimo – all’esonero verbale di Garcia salvo poi confermarlo dopo il due di picche di Conte.
Soffermiamoci per qualche istante sulla storia dei tanti allenatori contattati e che non hanno accettato il progetto di un Napoli che aveva appena dominato il campionato e che, con i conti in ordine (altro merito di De Laurentiis), avrebbe potuto avere davanti a sé prospettive luminosissime (veramente da vittoria Champions): è stata “colpa” di uno scudetto atteso 33 anni e che ha spaventato coloro che avrebbero dovuto prendere l’eredità di Spalletti? Oppure sono mancate argomentazioni serie e corroborate da fatti, ad esempio un management (quando è stato scelto il nuovo allenatore non c’era nemmeno un direttore sportivo) che accompagnasse la guida tecnica nel riorganizzare un organico che meritava comunque un approfondimento?
Alla fine la decisione è ricaduta su un tecnico reduce da clamorosi esoneri (farsi sgamare pure in Arabia è tutto dire), così come sarebbe ricaduta per disperazione su qualsiasi altro allenatore altrettanto disperato che non avesse altre chiamate interessanti oltre a quella del Napoli o che addirittura di chiamate di lavoro non ne ricevesse proprio più. Tant’è che quelli molto bravi (Conte) o molto talentuosi ed emergenti (Motta) non se la sono sentita.
Forse quei lusinghieri corteggiamenti che sono andati di moda per sedurre tecnici di grido come Benitez e Ancelotti adesso non funzionano più?
Forse lo stesso De Laurentiis è stato sgamato dai vecchi volponi (procuratori su tutti) che popolano il mondo del calcio e che non vogliono più fare affari con lui? Fosse così, allora è proprio vero che ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti (o una PEC, se preferite) per rovinarla?
La verità è che fare impresa si sta rivelando un gioco mica facile finanche per un fuoriclasse come De Laurentiis e che raggiungere il successo è indubbiamente difficile ma mantenerlo è operazione ancor più complicata. Non basta il credito che ti sei guadagnato per arrivare sin lassù, per rimanere stabilmente a certe latitudini occorre fare qualcosa in più. Che magari non sia commissariare Castel Volturno, rimanendo tre giorni a catechizzare Garcia senza avere nemmeno le competenze necessarie per confrontarsi su cose di campo e comprendere realmente che cosa non sta funzionando.
Dunque la netta sensazione che abbiamo avuto dopo lo scudetto è che De Laurentiis si sia come accontentato ed abbia pensato di aver capito oramai tutto di calcio e di esser diventato infallibile. D’altronde, già prima del 4 maggio il suo ego era esageratamente elevato, figuriamoci dopo aver riscritto la storia del club.
Tuttavia, davvero intende continuare ad avere un’azienda patriarcale che rischia di gettare alle ortiche un successo straordinario in un momento storico così favorevole? O continuare a seminare vento e raccogliere tempesta facendosi terra bruciata intorno? Essere padre padrone che se non c’è lui l’azienda va a rotoli?
Tendenzialmente le risposte le abbiamo già: lo conosciamo da troppo tempo per sperare ancora che faccia cose diverse da quelle che ha sempre fatto.

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