QUEL CAMBIO CHE NON VA, QUEL 4-3-3 DA BUTTARE

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Era la prova-trasferta, eppure il Napoli giocava in casa: se al "Garilli" c'erano 10.000 spettatori, almeno la metà erano di fede partenopea, giunti dall'Italia e dall'estero per vedere all'opera quella squadra che fa tanto parlare di sé per la qualità dei suoi giocatori e per le magie dei singoli. A Piacenza, bontà loro, la luce era spenta, e quel barlume di luminosità è stato oscurato dal tecnico del Napoli che ha svitato l'unica lampadina accesa in campo.

Eppure nessuno pensava di assistere agli stessi errori del passato, allo stesso leit-motiv di sempre, quello che portava alla classica sostituzione Calaiò-Pià (o Sosa) anche quando le circostanze non lo avrebbero richiesto. E' stato questo il caso di Piacenza-Napoli, perché Emanuele da Palermo era il migliore in campo: gol, assist, tocchi, praticamente aveva fatto tutto lui. A togliergli la scena, probabilmente, la vanità di un tecnico che pochi giorni prima aveva chiarito le gerarchie del Napoli al grido di “qui comando io”, tirando le orecchie allo stesso bomber. 

 

Resta imbottigliato in un traffico di schemi il vero Napoli, prigioniero di un 4-3-3 che non funziona e non può funzionare con quegli uomini in campo. Che Pià sia più adatto di Calaiò nel ruolo di esterno sinistro può passare, che il Napoli debba giocare con quel modulo no. Perché il Napoli è nato sotto il segno del "rombo", di un 4-3-1-2 che rare volte, finora, si è visto in campo. Un modulo che prevede "faro" De Zerbi alle spalle di due punte vicine, che siano Bucchi, capace di mettersi al servizio dei compagni, e Calaiò, pronto a sfruttare ogni occasione ma anche a far segnare gli altri. L'idea tattica presentata a Piacenza mortifica tutti gli attaccanti, e ravvedersi dell'errore non significa cercare di correggerlo, ma piuttosto eliminarlo. Reja non lo ha fatto, lasciando le punte spaesate ed il centrocampo in ambasce di un avversario fresco e determinato, che ha affrontato la gara con quella dose di umiltà rigurgitata dagli azzurri subito dopo il pari. Rattrista vedere gente come Domizzi e Cannavaro, difensori di serie A, prendere due gol a partita contro chi, in attacco, ha schierato Acquafresca e Simon (chissà chi l’ha portato in serie B).

 

C'è qualcosa che non va, ma pure qualcosa che va. Ecco perché il Napoli resta da vertice, da primato, a patto che gli equivoci tattici e questo dualismo mascherato Reja-Calaiò venga presto risolto in favore del Napoli: che il giocatore sia pure sostituito quando gioca male, ma non quando risulta essere il migliore in campo. Un Napoli punito da tre napoletanti (Coppola, Nocerino e Riccio), meno di quanti il Napoli ne riuscisse effettivamente a schierare (Iezzo, Cannavaro, il casertano Grava). Non è questo un problema, a patto che chi scenda in campo venga messo nelle condizioni di rendere al meglio, e che per il bene della squadra si riesca a rinunciare a qualche personalismo di troppo, in un calcio il cui Commissario è anche presidente di una grande azienda italiana e alla cui prestigiosa carriera manca solo un'elezione al soglio pontificio…

 

 

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