INGIUSTIZIA!

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Un fulmine a ciel sereno ha ridestato i supporters del Napoli dal sogno che stavano vivendo grazie ai loro uomini di azzurro vestiti. Domenica, con una particolare combinazione di risultati, 80 mila anime avrebbero potuto assaporare per la prima volta dai tempi di Maradona l’ebbrezza della vetta, e festeggiarla all’interno del proprio stadio. Battendo i cugini genoani, notoriamente gemellati, in caso di pareggio fra Roma e Inter la squadra partenopea si sarebbe trovata in testa alla classifica; una prospettiva illusoria ma anche un momento di felicità per una tifoseria che aspetta da troppo tempo simili occasioni. Purtroppo però tutto questo non potrà accadere, non con i tifosi ad esultare sugli spalti. Oggi il Giudice Sportivo Gianpaolo Tosel ha squalficato lo stadio San Paolo per una partita, proprio la pacifica gara contro il Genoa, adducendo due motivazioni plausibili ma quantomeno opinabili. La prima è uno striscione offensivo, che secondo il nuovo regolamento dovrebbe essere vietato, ma da solo non può costituire un reato così grave. La seconda motivazione è che una bottiglina, lanciata dal settore Distinti, ha colpito un assistente dell’arbitro provocandogli “una sensazione dolorifica”. Una descrizione innanzitutto zoppicante a livello lessicale, ma su questo per ora sorvoliamo. Soprattutto una decisione che, identificando un atto che peraltro è all’ordine del giorno negli stadi italiani, va a penalizzare un intero popolo. E non è la prima volta. 

Il Napoli manca dalla serie A da sette lunghi anni, anni in cui ne sono successe di tutti i colori, in cui sono cadute teste eccellenti e si è tanto celebrato il vento di cambiamento che soffiava sul calcio italiano. E certo qualcosa è cambiato, vedi il vertice federale che non è più il famigerato Carraro ma neanche il nuovo che avanza. Diciamo più il seminuovo, Giancarlo Abete non è né intraprendente come Pancalli né giovane come Albertini. Ma per il resto, a parte la retrocessione di facciata della Juventus dopo Calciopoli, molte cose sono rimaste perfettamente intatte. Anche e soprattutto nei confronti del Napoli e dei napoletani, da sempre considerati una cosiddetta tifoseria “a rischio”. Quando sei a rischio sei come un criminale che è già stato in galera: se sbaglia un altro, ci si passa sopra, se invece l’errore lo fai tu scatta subito la pena pesante, senza neppure valutare l’entità del reato commesso. Ed ecco che l’imbecille juventino, quello che ha lanciato il famoso petardo, viene additato come la pecora nera di una tifoseria tutta bianca, mentre l’imbecille napoletano viene identificato invece come l’esponente glorioso di una grande famiglia. Difficile credere che l’unica differenza stia nell’aver denunciato il colpevole a Torino, mentre a Napoli il lanciatore di oggetti è rimasto impunito. Purtroppo ciò che si evince dalla storia, a parte il fatto assodato che la mamma degli stupidi è sempre incinta, è che però i figli di questa madre vengono trattati con pesi e misure completamente diversi. E allora alla Juventus uno scappellotto e via, al Napoli lo stadio chiuso. 

Ora è inutile buttarla sulla storica rivalità Nord-Sud e tutte queste considerazioni da popolino, ma ciò che risulta evidente è che c’è stata un’ingiustizia, non nel fatto in sé ma nel rapporto con altri avvenimenti verificatisi in altri stadi d’Italia. Napoli e il Napoli subiscono un danno gigantesco, e tutti pagheranno perché “il solito napoletano” ha sfiorato il guardalinee con una bottiglina semivuota. Se non è razzismo umano, è quantomeno razzismo sportivo, perché se anche si vuole dare l’esempio non si capisce perché la punizione esemplare debba toccare sempre a noi. Marino ha fatto ricorso contro la sentenza, Tosel invece dovrebbe fare ricorso al buon senso, e chiudere la faccenda restituendo ad 80 mila persone il sogno che stavano coltivando da troppo tempo, che non può sfumare per colpa di un solo isolato cretino.

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